IV Domenica di Pasqua

La Domenica del Buona Pastore

Parrocchia, 3/5/2020

Gesù con la sua mansuetudine e sottomissione eroica alla volontà del Padre è diventato nostro modello e noi dobbiamo seguirne le orme.

Gesù è il nostro pastore che ci guida ai pascoli della vita. Dobbiamo dunque ascoltare la sua voce e lasciarci condurre da Lui con docilità.

Gesù: è la porta attraverso la quale si entra nell’ovile e nello stesso tempo è il pastore che raduna il gregge, lo guida e lo difende.

Sappiamo bene che il Pastore è garanzia di sicurezza per una strada da percorrere; per un pascolo da trovare; per un rifugio in cui riposarsi e per una difesa certa da possibili assalti.

Nello stesso modo Gesù è Pastore perché ci segna la strada della nostra piena realizzazione, ci offre un pascolo salutare, oltre che nella sua parola, anche nei suoi sacramenti e ci indica i pericoli da evitare e ci aiuta ad evitarli.

Conoscere il pastore significa sapere i suoi insegnamenti, sfuggire il mercenario e seguire la sua voce.

L’ atteggiamento di chi accetta il Pastore  è l’ascolto e la fede che esigono una sequela e allora Dio e l’uomo diventano partners di un dialogo d’amore.

Purtroppo nell’uomo d’oggi, fiero della sua autonomia, c’è la difficoltà di inserirsi come pecora in un gregge.

Per essere discepoli di Gesù bisogna “Ascoltare” “Conoscere”  “Seguire”  “Credere” cioè abbandonare la sicurezza mondana per affidarsi a Dio.

Prima lettura. Pietro fa due affermazioni:

a.    La malvagità umana non ha esitato a condannare alla morte più infame il più giusto degli uomini “quel Gesù che avete crocifisso”.

b.    Quel Gesù è morto per noi, alla nostra cattiveria ha contrapposto il suo amore, al nostro rifiuto la sua solidarietà e da questo confronto ne è uscito vincitore: “Dio lo ha fatto Signore e Messia”.

Nel messaggio del Santo Padre, in occasione della 57°giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, 3 Maggio 2020, siamo invitati a riflettere sule parole della vocazione.

La prima parola della vocazione è gratitudine. Navigare verso la rotta giusta non è un compito affidato solo ai nostri sforzi, né dipende solo dai percorsi che scegliamo di fare. La realizzazione di noi stessi e dei nostri progetti di vita non è il risultato matematico di ciò che decidiamo dentro un “io” isolato; al contrario, è prima di tutto la risposta a una chiamata che ci viene dall’Alto. È il Signore che, mentre ci chiama, si fa anche nostro timoniere per accompagnarci, mostrarci la direzione, impedire che ci incagliamo negli scogli dell’indecisione e renderci capaci perfino di camminare sulle acque agitate. Ogni vocazione riusciremo a scoprirla e abbracciarla quando il nostro cuore si aprirà alla gratitudine e saprà cogliere il passaggio di Dio nella nostra vita.

La seconda parola è coraggio. Quando i discepoli vedono Gesù avvicinarsi camminando sulle acque, inizialmente pensano che si tratti di un fantasma e hanno paura. Ma subito Gesù li rassicura con una parola che deve sempre accompagnare la nostra vita e il nostro cammino vocazionale: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (v. 27).  Ciò che spesso ci impedisce di camminare, di crescere, di scegliere la strada che il Signore traccia per noi sono i fantasmi che si agitano nel nostro cuore. Quando siamo chiamati a lasciare la nostra riva sicura e abbracciare uno stato di vita – come il matrimonio, il sacerdozio ordinato, la vita consacrata –, la prima reazione è spesso rappresentata dal “fantasma dell’incredulità”: non è possibile che questa vocazione sia per me; si tratta davvero della strada giusta? Il Signore chiede questo proprio a me?Il Signore sa che una scelta fondamentale di vita – come quella di sposarsi o consacrarsi in modo speciale al suo servizio – richiede coraggio.  La fede nella sua presenza che ci viene incontro e ci accompagna, anche quando il mare è in tempesta, ci libera da quell’accidia, cioè quello scoraggiamento interiore che ci blocca e non ci permette di gustare la bellezza della vocazione.

La terza parola è fatica. Ogni vocazione comporta un impegno. Il Signore ci chiama perché vuole renderci come Pietro, capaci di “camminare sulle acque”, cioè di prendere in mano la nostra vita per metterla al servizio del Vangelo, nei modi concreti e quotidiani che Egli ci indica, e specialmente nelle diverse forme di vocazione laicale, presbiterale e di vita consacrata. Ma noi assomigliamo all’Apostolo: abbiamo desiderio e slancio, però, nello stesso tempo, siamo segnati da debolezze e timori. Se ci lasciamo travolgere dal pensiero delle responsabilità che ci attendono – nella vita matrimoniale o nel ministero sacerdotale – o delle avversità che si presenteranno, allora distoglieremo presto lo sguardo da Gesù e, come Pietro, rischieremo di affondare. Al contrario, pur nelle nostre fragilità e povertà, la fede ci permette di camminare incontro al Signore Risorto e di vincere anche le tempeste. Lui infatti ci tende la mano quando per stanchezza o per paura rischiamo di affondare, e ci dona lo slancio necessario per vivere la nostra vocazione con gioia ed entusiasmo.

La quarta parola è lode. È questa l’ultima parola della vocazione, e vuole essere anche l’invito a coltivare l’atteggiamento interiore di Maria Santissima: grata per lo sguardo di Dio che si è posato su di lei, consegnando nella fede le paure e i turbamenti, abbracciando con coraggio la chiamata, Ella ha fatto della sua vita un eterno canto di lode al Signore.

In questa Giornata il Papa ci invita a scoprire con gratitudine la chiamata che Dio ci rivolge, trovando il coraggio di dire “sì” e offrendo la propria vita come cantico di lode per Dio, per i fratelli e per il mondo intero.